Seguendo i principi della tradizione classica indiana, Alain Daniélou ha scritto che la funzione di un’opera d’arte non è soltanto quella di copiare la realtà, bensì di imitare il processo attraverso cui la natura è stata creata grazie alla visione dell’artista, che è in grado di percepire la realtà interiore delle cose. Poiché la percezione è la base dell’esperienza, nella sua vita l’artista deve realizzare il livello di realtà che è chiamato/a a rivelare attraverso la sua opera d’arte, ma questa in fin dei conti sorpassa di gran lunga la piena espressione delle qualità interiori e delle potenzialità riferite alla singola persona. Dopotutto, il senso del bello non ha a che fare con il gusto o la raffinatezza, bensì piuttosto con il risultato di un’esplorazione profonda e trasformativa di fili cosmici. Questo risultato è ciò che può essere chiamato espressione artistica.
Fondazione Alain Daniélou Dialogo Intellettuale accosta le arti da una prospettiva senza pregiudizi, tenendo fede al fatto che, secondo i principi suggeriti da Daniélou, non ci sia prescrizione alcuna alle arti se non l’articolazione di una visione. La visione è un’esperienza diretta, ma questa esperienza ha una singolare articolazione nelle diverse arti. Si struttura secondo le procedure che trasformano la percezione ordinaria della realtà, al punto da portare a una de-familiarizzazione rispetto a tutti i parametri esistenti. Questo vale non solo per la musica e la danza (che godono di una posizione assicurata nella tradizione indiana, alle radici della speculazione metafisica e mitologica) ma anche per la letteratura, ivi compreso il genere letterario contemporaneo che sembra molto lontano dall’antica e classica idea della bellezza legata alle proporzioni (manifeste o nascoste) al livello della manifestazione. I lavori letterari testimoniano la trasformazione della percezione collettiva della realtà e rivelano invisibili angoli di esperienza, attraverso un deliberato distacco dall’espressione del linguaggio ordinario.